Scritto da Arianna Di Genova – il manifesto
Record da Sotheby’s a New York. Edvard Munch raggiunge i centoventi milioni
L’angoscia non ha prezzo e non è neanche a tempo determinato, ma eterna. È così che una delle quattro versioni dell’Urlo di Edvard Munch – l’unica in mani private, le altre sono nei musei norvegesi – è volata nella hit parade delle stelle mondiali, calamitando su di sé una cifra «fantasy» come centoventi milioni di dollari (centosette più i diritti), la più alta di tutti i tempi. L’asta di Sotheby’s a New York, attesa come un banco di prova dove tastare il polso alla depressione «da crisi», ha sbalordito il suo parterre di collezionisti assegnando quel quadro dell’uomo sofferente in dodici minuti e a un prezzo che è salito di dieci milioni a ogni battuta di martelletto del banditore Tobias Meyer. Ottanta era la stima iniziale di quello Scream, icona di un mondo che rotola inesorabilmente verso l’alienazione, che è nata per raccontare l’ansia tutta moderna che apriva il Novecento e ha finito per rappresentare la precarietà individuale e collettiva del XXI secolo, incarnando, a suo modo, le teorie di Bauman sulla «liquidità» della società.
Come metro di paragone, per meglio comprendere l’eccezionalità della vendita all’incanto svoltasi nella Grande Mela, basti pensare a un master delle aste quale Picasso che è sceso al secondo posto nella classifica dei record mondiali assegnati prima dell’apparizione di Munch: ieri, la Femme assise dans un fauteuil dell’artista spagnolo (una tarda opera cubista del 1941) è stata acquistata per trenta milioni di dollari, mentre uno dei primi paesaggi di Tahiti di Gauguin non ha raggiunto i nove milioni e un disegno a inchiostro e pennello di Matisse è stato comprato per quasi tre milioni.
L’emaciato signore che cammina portandosi dietro il fardello di un corpo destrutturato in linee sinuose e che tiene premute le mani sulle orecchie per non sentire la natura che «strepita» è stato uno dei punti estremi del pittore norvegese. Dopo, in molte sue opere meno laceranti, è tornata la malinconia simbolista di stampo nordico. E nell’asta newyorkese, Summer Night, quadro che testimonia quel periodo più mainstream non ha avuto la stessa fortuna dell’Urlo ed è rimasto al palo con settecentomila dollari di stima base, lasciando indifferente il pubblico. Il dipinto , che è stato a lungo conteso fra sette collezionisti (rilanciavano al telefono), apparteneva a Petter Olsen. Per suo padre, Munch era un amico di famiglia e Olsen ha spiegato di voler vendere il quadro per permettere anche ad altri di possederlo. La versione passata a Sotheby’s risale al 1895 ed è anche l’unica a mostrare un testo scritto sulla cornice, lo stesso che il pittore aveva precedentemente affidato alle pagine del suo diario: «Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura».