Ultimo aggiornamento Martedì 15 Febbraio 2011 18:31 Scritto da Alessandra Lucia Coruzzi e Hassan Bayati
Perché una collezione di dipinti del Realismo Socialista
Nelle diverse mostre sulla pittura russa del Novecento che si sono tenute in giro per l’Europa, e altrove, si è notato che dai dipinti dell’avanguardia storica – cubismo, futurismo e altro – si passa direttamente a quelli dell’arte contemporanea post-sovietica.
Che fine ha fatto l’arte prodotta in Unione Sovietica dagli anni Trenta agli anni Ottanta?
Eppure nella Russia contemporanea nei molti musei locali, regionali e nazionali sono custoditi ed esposti, in parte preponderante, dipinti appartenenti alla corrente artistica di quel periodo storico/politico e sociale, denominata Realismo Socialista.
In tutte le repubbliche che si sono rese autonome nel 1991 dall’ex Unione Sovietica, invece, i dipinti relativi al Realismo Socialista sono praticamente scomparsi dai luoghi pubblici, eccezion fatta, ma solo parzialmente, per i grandi musei.
Tali opere, oltre alla funzione di arredo, svolgevano soprattutto un’esplicita funzione pedagogica e divulgativa nonché di propaganda essendo finalizzati a contribuire al rafforzamento e alla difesa del Socialismo in Unione Sovietica.
La realtà è che vi è stato un processo di rimozione storica di vaste proporzioni.
Dai luoghi pubblici, palazzi e uffici governativi nazionali e locali, poste, caserme, scuole, ospedali e altro, le opere d’arte di quel periodo storico sono state materialmente rimosse.
La volontà di operare una rimozione materiale e simbolica ha avuto come conseguenza che una grande parte delle opere d’arte di sessanta anni della storia russa sia andata dispersa e distrutta.
Da qui è nata l’idea e il progetto di cercare di recuperare i dipinti del Realismo Socialista.
Le opere d’arte, pur se realizzate su precisa indicazione e commissione dello Stato e dei suoi dirigenti politici, rappresentano una testimonianza di umanità e di vita vissuta e sono state prodotte, spesso, con un’eccellente e sorprendente maestria d’esecuzione.
Va ricordato che gli artisti erano dipendenti dello Stato, non potevano né vendere né regalare le loro opere che erano di diritto proprietà del committente/Stato.
I dipinti in mostra, parte di una collezione più ampia, selezionati, raccolti e recuperati con cura negli anni, sono stati restaurati secondo criteri internazionali di reversibilità per conservali materialmente nel modo migliore: memoria di una lunga e travagliata fase storica di un paese, prima denominato Unione Sovietica e ora Russia, che ha avuto – e ha ripreso ad avere – un ruolo di assoluta importanza nella storia dell’Europa e del mondo intero.
Il proposito della mostra è di offrire una narrazione di quel tormentato ma fertile periodo artistico, senza alcun intento ideologico.
Infatti nel lavoro di restauro e di conservazione si sono fatte delle straordinarie scoperte che da sole possono testimoniare l’importanza di quella fase storica anche per l’arte:
– le tele sono di materiale povero, principalmente pezzi di juta, tela di tende militari cuciti insieme, canapa e cotone non industriali: tessuti grezzi preparati manualmente secondo tecniche antiche
– per la maggior parte anche i fondi delle tele non sono di tipo industriale ma preparati manualmente e artigianalmente, con materiali poveri, fino ad usare addirittura polveri cementizie recuperate dai cantieri o oli vegetali cotti
– sotto il dipinto, attraverso analisi specifiche, si è rilevato che non vi è un disegno preparatorio. Solo questo fatto la dice lunga sul talento di questi artisti che rispettavano le proporzioni anche in quadri enormi – fino a 10 mq – eseguendo le loro opere di getto, spesso a spatola, con grande maestria pittorica
– molte scritte sul retro narrano piccole storie di diversi straordinari artisti che facevano anche altri mestieri per poter sostenere se stessi e le proprie famiglie
– ogni artista, pur dipingendo su commissione dello Stato e per esso, si è ritagliato un piccolo spazio per manifestare la propria umanità e visione della vita. Elementi che, se cercati con attenzione, si possono leggere in tantissimi particolari delle opere.
Sia il lavoro di recupero che di restauro conservativo sono stati un affascinante itinerario di scoperte continue. In particolare, la percezione di una emozionante alchimia: come difficoltà di ogni genere, povertà di mezzi, fatica, sofferenza, ricchezza interiore e maestria si siano fuse producendo risultati artisticamente e umanamente straordinari.
Perché una mostra a Berlino di dipinti del Realismo Socialista
Perché Berlino è luogo simbolico per eccellenza, memoria di una profonda cicatrice, monito affinché non si producano altre ferite, determinazione a riprendere il cammino di un’Europa senza barriere.
Luogo emblematico di un mondo dove al posto di muri si costruiscano ponti.
Luogo emblematico per dialogare e viaggiare liberamente.
Terra di incontro e di inclusione e non di scontro e di odio ed esclusione.
Di pace e non di guerra.
Perché per l’anniversario della caduta del Muro di Berlino
Perché la caduta del Muro e della Cortina di Ferro hanno emozionato il mondo intero segnando la fine della terribile fase storica della Guerra Fredda ed hanno assunto il ruolo simbolico della speranza della caduta di tutte le barriere, di tutti i muri che dividono la moltitudine umana. Primi tra tutti, il muro della povertà e il muro del razzismo.
Perché la caduta del Muro di Berlino e della Cortina di Ferro rappresenta oggi la coscienza di tutti noi che siamo necessariamente anche il prodotto di ciò che siamo stati.
Perché rimuovere un periodo storico è impedirsi anche di riflettere compiutamente su quello che oggi siamo e sul futuro che ci attende.
Perché dove è caduto il muro, tutti i muri – quelli dell’oppressione come quelli dell’oblio – possono crollare.
Quali attese
L’arte è linguaggio universale che, senza barriere linguistiche o rigidamente razionali, può indurre a riflettere con l’intelligenza delle emozioni.
Perché quando è viva e sofferta testimonianza, travalica e trascende il messaggio che racchiude.
Diventa l’Arte dell’uomo, del pittore, dell’artista che esprime il bello, il colore, la forma, la voglia di vivere, i sentimenti e le emozioni: forme di conoscenza insondabili con altri mezzi.
Utilizza un linguaggio che, al fondo, ha poco a che fare con il committente, qualunque esso sia.
Preponderante diventa allora il linguaggio artistico dove è possibile riconoscersi, accogliendo la bellezza e le emozioni espresse, oltre ogni distinzione e soprattutto oltre ogni divisione.
Simbolicamente l’evento della caduta del Muro diventa occasione autentica per celebrare l’arte come linguaggio universale che unisce “oltre la cortina di ferro”, appunto.
Nessun ragionamento, per quanto magistralmente elaborato e strutturato, può trasmettere emozioni senza interferenze: fare poesia come solo l’arte sa fare.
L’aspettativa è che la mostra possa diventare itinerante per conservare, accudire e trasmettere memoria e per viaggiare metaforicamente, senza barriere di alcun tipo, dalla sofferenza alla gioia.
I curatori della mostra
Centro Studi e Ricerche d’Arte di Milano
(Alessandra Lucia Coruzzi e Hassan Bayati)