Scritto da PAOLO VALENTINO – Corriere della Sera
Per l’opera di Rauschenberg il fisco chiede 29 milioni di dollari dal nostro inviato
NEW YORK — Se un oggetto non può essere venduto, ha ancora un valore di mercato? E se poi l’oggetto invendibile in questione è l’opera di un grande artista del Novecento, com’è possibile fissarne una quotazione in denaro, che non sia arbitraria e soprattutto priva di ogni ragion d’essere?
In una surreale disputa, dove la teoria economica collide con la cecità burocratica, il buon senso fa a pugni con l’accanimento fiscale e il diritto tributario ignora le leggi ambientaliste, gli eredi di una delle più celebri galleriste di New York sono ai ferri corti con l’Internal revenue service, il fisco americano, che vorrebbe da loro una trentina di milioni di dollari, per un dipinto che la legge proibisce loro di vendere.
Oggetto della discordia, un capolavoro dell’arte figurativa contemporanea: realizzato nel 1959 da Robert Rauschenberg, Canyon è una delle più celebri combinazioni di pittura e scultura, che furono la cifra inconfondibile del maestro americano, morto nel 2008.
Parte della collezione da un miliardo di dollari appartenuta a Ileana Sonnabend, storica dealer dell’artista scomparsa nel 2007, l’opera ha una storia speciale e controversa.
Include infatti un rapace impagliato: l’aquila calva simbolo degli Stati Uniti, protetta da una legge del 1940, che ne proibisce il possesso, la vendita, l’acquisto, il baratto e il trasporto viva o morta. Tecnicamente, dunque, la sua presenza nel dipinto lo ha reso illegale sin dalla nascita. Nel 1998 Rauschenberg fu costretto a fornire una dichiarazione notarile, confermando che l’uccello era stato ucciso e impagliato da un soldato dei Rough Riders, il reggimento volontario di cavalleria, che partecipò alla guerra ispanoamericana del 1898, guidato dal futuro presidente Teddy Roosevelt. Molto prima dunque che l’aquila dalla testa bianca fosse posta sotto protezione federale. La stessa gallerista, che l’aveva acquistato, ha potuto conservarne la proprietà solo a condizione che Canyon continuasse ad essere esposta in un museo pubblico: l’opera è infatti in prestito permanente al Metropolitan Musem of Art, che paga l’assicurazione.
Per Nina Sundell e Antonio Homem, eredi dell’intera collezione Sonnabend, il lascito ha significato un conto da 471 milioni di dollari con l’Irs, già saldato con una parziale vendita delle opere, che ha fruttato loro 600 milioni. Ma su Canyon, giusta la valutazione della casa d’aste Christie’s basata sul fatto che avrebbero commesso un crimine anche solo a provare di venderla, dunque della sua improponibilità sul mercato, i due hanno con ragione dichiarato un valore monetario pari a zero dollari.
L’Internal revenue service la pensa diversamente. Valuta l’opera invendibile di Rauschenberg ben 65 milioni di dollari e chiede agli eredi tasse per 17,5 milioni, aggiungendo beffa al danno con una multa da 11,7 milioni per aver fornito una valutazione inaccurata, cioè falsa. In tutto, fanno 29,2 milioni di dollari.
La famiglia ha fatto ricorso contro l’ingiunzione ai tribunali. Le parti si incontreranno a Washington il mese prossimo. E il negoziato già si annuncia come un impossibile processo di disambiguazione dall’esito imprevedibile. Comunque vada a finire, si annunciano grandi parcelle per i legali.