Scritto da PHILIPPE DAVERIO – CORRIERE DELLA SERA
Robert Sterling Clark, classe 1877, era figlio di famiglia, buona s’intende, il che per l’America d’allora voleva dire molto ricca. Discendeva per via materna da Isaac Merrit Singer, inventore dell’inventabile ma soprattutto della macchina da cucire con la quale fece una tale fortuna che a sessant’anni, dopo aver avuto 24 figli, se n’andò a vivere in Inghilterra come un lord in pensione. Viveva già a Parigi da dieci anni per evitare la guerra civile americana e aveva optato per l’Inghilterra in modo da evitare i fastidi della guerra franco-prussiana. Sua figlia Winnaretta sposò comunque francese, prima il principe Louis de Scey-Montbéliard, matrimonio immediatamente annullato per consentire il secondo matrimonio col secondo principe, un simpatico sessantenne, gay e melomane, Edmond de Polignac, che ebbe la buona idea di lasciarla presto vedova: lei divenne la patronessa della musica parigina, da Debussy a Poulenc, passando da Satie a Savinio. Anche Robert Clark, giovin nipote passò da Parigi prima di laurearsi a Yale. Poi girò l’Oriente, da militare e da esploratore, ritornò a Parigi e sposò una bella attrice. Assieme iniziarono a collezionare, l’antico e il moderno, Piero della Francesca e gli impressionisti. Non andava più di tanto d’accordo coi fratelli ai quali già lo legava una comune fondazione filantropica; fece la sua propria fondazione che oggi è uno dei maggiori musei americani della East Coast, nel Massachusetts. Il primo quadro, un bel Renoir, lo comperò forse ancora da scapolo nel 1916, quando anche Gertrude Stein comperava con passione. Non molto dissimile la sua storia da quella dei coniugi Phillips a Washington. Duncan Phillips, classe 1886, erede di banchieri e magnati dell’acciaio, collezionò negli stessi anni gli stessi impressionisti e la collezione è oggi uno dei gioielli della capitale americana. Tutto dovuto al pensiero di Francis Scott Fitzgerald per il quale i ricchi americani, quelli d’allora beninteso, sono necessariamente intelligenti e belli? Non affatto: anche il museo Puskin a Mosca e una parte delle raccolte moderne dell’Hermitage a San Pietroburgo sono debitori d’un collezionismo borghese altrettanto illuminato, quello dei due mercanti imprenditori Sergej Shchukin e Ivan Morozov. Nelle loro case allegre e lussuose, con la Danse di Matisse appesa sugli scaloni, suonava Skrjabin. Uguali gli americani e i russi, separati solo dalla catastrofe rivoluzionaria? Sarebbe errore gravissimo di analisi storica, perché negli stessi anni un umile collezionista di Basilea, Rudolph Staechelin, mise assieme un’analoga collezione, oggi fondazione, e contemporaneamente lo facevano a Winterthur i Barbier Muller, forse ancor con maggior genialità perché mescolarono ai primi Kandinskij le raccolte d’oggetti antropologici, il tutto raccolto oggi a Ginevra, in rue Jean Calvin. Il fascino discreto della borghesia. Alla quale borghesia non erano estranei gli italiani se il giovane milanese Riccardo Jucker, svizzero di nonno e tessile come Morozov, se ne andava a Parigi nel 1918 per evitare i guai postbellici italiani a comperare i quadri cubisti di Picasso, come poco dopo avrebbe fatto De Angeli Frua, anche lui tessile ma pure patrono della nascita della Galleria del Milione a Milano e di quella di Ernst Beyeler a Basilea, oggi mirabile fondazione. Negli stessi anni il giovane Gianni Mattioli, commerciante tessile, iniziava a Milano una raccolta che oggi è documento formidabile: fece i suoi primi acquisti nel 1916 nelle mostre di palazzo Cova. È intrigante l’intelligenza artistica del protagonismo storico nei momenti di pulsione della storia. Il giovane generale Bonaparte, non particolarmente affinato ancora quando conquistò ventiseienne Milano nel 1796, scopre il fascino di Andrea Appiani e da lui si fa ritrarre. Il cardinal Federico Borromeo scopre subito il talento di Caravaggio, che come persona fisica non sembra affatto gradire, e gli acquista la Canestra oggi all’Ambrosiana. Così farà pochi anni dopo il nipote di papa Paolo V, un innegabile parvenu, il cardinal Scipione Borghese che capirà tutto del fascino caravaggesco e delle glorie scultoree di Bernini. I ricchi sono intelligenti, intuitivi, premonitori, ma solo talvolta. Oggi appaiono meno arguti e meno acuti, se aspettano i risultati delle aste per tuffarsi negli acquisti di beni artistici già conclamati e cari. Colpa loro o colpa dell’arte attuale?