Scritto da CRISTIANA CAMPANINI – la Repubblica, pagine Milano
Le opere della coppia da Lia Rumma. Non siamo artisti politici, non ci interessa la realtà, se nella vita le utopie sono pericolose e tragiche, nell´arte sono speranza e bellezza. Sogniamo di cambiare il mondo Un´avventura esistenziale riflessa nei lavori, esposti in tutto il mondo
Una figura si muove appena sotto una coperta di feltro. È il profilo di un uomo che striscia. Forse si nasconde, scappa o cerca di liberarsi. L´uomo, rappresentato da una scultura meccanica, gira in tondo. L´azione è ripetitiva, claustrofobica. È la prima opera che ci accoglie nelle grandi sale distribuite su tre livelli della galleria Lia Rumma, dove giovedì alle 19 inaugura la mostra di due maestri dell´arte russa, e non solo.
Sono Ilya ed Emilia Kabakov, che dal 1988 lavorano insieme a un connubio unico d´installazione e pittura, narrazione e disegno. Dal 1992 vivono a Long Island e raccolgono successi di critica, da Documenta di Kassel alla Biennale di Venezia. Le loro installazioni totali, come le definiscono, sono ambienti realistici come set teatrali e descrivono atmosfere della Russia sovietica, ma i valori che trasferiscono sono universali. Nella prima sala della galleria il tema è la fuga. «L´oscurità degli spazi ci ha spinto a raccontare una tragedia, la storia di un uomo che striscia a terra per liberarsi. La trappola può essere politica o esistenziale».
A spiegarlo con un tono dolce e deciso, uno sguardo intenso incorniciato da capelli corti argentati è Emilia Kanevsky (Dnepropetrovsk, 1945; emigrata negli Stati Uniti nel 1973). È lei la portavoce della coppia. Ylia è silenzioso, sfuggente. La sua riservatezza accresce attorno a lui un´aura di mistero. Ucraino di origini ebree, nato nel 1933, è considerate il padre dell´arte concettuale russa. Il racconto della sua vita è un compendio di storia sovietica. Diviso tra arte ufficiale e non, negli anni del regime si guadagnava da vivere illustrando libri per bambini e allo stesso tempo si muoveva tra i dissidenti della scena moscovita. Alle pareti della galleria, nella prima sala, sfilano le tavole di due album dei dieci realizzati proprio in quegli anni, dal 1968 al 1978. Sono storie di fuga raccontate su carta. E i protagonisti di quell´intreccio di disegni e parole sono sempre artisti, in un certo senso dei suoi alter ego. «Il primo è un uomo che fugge lanciandosi nel vuoto. E i disegni mostrano solo il suo volo. L´altra fuga è quella di un decoratore, un uomo che ha paura di ogni cosa e si chiude nel mondo minuscolo del suo lavoro».
Nella sala successiva la mostra continua con quattro grandi tele in stile postimpressionista e quattro sculture in marmo e ceramica della dimensione di bozzetti. L´atmosfera suggerita dai dipinti è quella dell´atelier di un artista, un altro alter ego. «Si vedono frammenti di quadri nel quadro oppure specchi che riflettono lo spazio attorno. Sta solo a chi guarda decidere», spiega Emilia. «Siamo partiti da Las Meninas di Velázquez e dal gioco di riflessi imprigionato in quell´immagine, abbiamo raccontano la storia di un artista e immaginato lo spazio in cui vive».
Nell´ultima sala l´atmosfera si fa magica. L´installazione Evening è parte di una trilogia dedicata ad Hans Christian Andersen. Al centro c´è un´isola, una Torre di Babele, una città-montagna che ha alle sue pendici un castello. Dentro suona un carillon appena illuminato, con i personaggi delle storie di Andersen in minuscole figurine ritagliate, come lo scrittore stesso amava fare. «L´umanità e i sogni nutrono la nostra arte», continua Emilia. “L´umanità e i sogni nutrono la nostra arte”, continua Emilia. «Non siamo artisti politici, realizziamo utopie. Se nella vita le utopie sono pericolose e tragiche, nell´arte sono speranza e bellezza. Le nostre utopie sono sempre più ambiziose e vorrebbero cambiare il mondo».
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