Scritto da VITTORIO GREGOTTI – Corriere della Sera
Oggi il protagonismo ha banalizzato tutto, dimenticando la lezione di Lissitsky
Le riviste di avanguardia sorte intorno al periodo della «Grande Guerra» europea del ’14-’18, sono molte, discontinue, sovente di breve durata, ma specchio fedele delle inquietudini e delle spinte ad un rinnovamento radicale decisivo per il pensiero delle pratiche artistiche della modernità. Limitandosi alle arti visive ed all’architettura si possono, per schematica comodità, dividere in tre gruppi. Quelle tra l’inizio del secolo ed il ’14, dal cubismo al futurismo, dai diversi espressionismi alle riviste che spingono ad un rinnovamento radicale delle «arti decorative ed industriali», alle prime proposte del moderno in architettura. Quelle che si sviluppano durante il conflitto, come il dadaismo nel segno di una critica radicale dello stato autodistruttivo della società europea; poi quelle postbelliche caratterizzate da un internazionalismo critico volto soprattutto ai Paesi d’Europa, a partire da quelle della «Neue Sachlichkeit» sino alle diverse forme del costruttivismo e del razionalismo, per giungere nel ’25 alla pubblicazione delle diverse riviste dei surrealisti.
Elemento comune è nello stesso tempo un desiderio rivoluzionario e insieme un senso di responsabilità anche politica delle arti che sembra riproporre la celebre frase di Marx «L’arte non deve spiegare il mondo ma cambiarlo». Le indicazioni delle vie da seguire sono molto diverse e sovente fra loro in conflitto sul piano dei linguaggi o delle proposte di metodo, ma le riviste di avanguardia restano il luogo deputato delle discussioni che nell’insieme offrono il quadro di un internazionalismo critico fondamentalmente europeo.
Fra le riviste di avanguardia un caso interessante è quello dei sei numeri della rivista Berlinese «G» (formula che sta per «Material zur elementaren Gestaltung») pubblicata tra il 1923 ed il 1926 su iniziativa di Hans Richter (con Eggeling uno dei protagonisti delle esperienze dell’astrattismo nel cinema) nella quale le personalità più presenti sono quelle di Lissitsky, di Teo Van Doesburg, Raul Hausmann, Mies Van der Rohe, Hilberseinser e del fotografo Werner Graeff.
La rivista sarà un luogo di discussione anche per molte altre grandi personalità dell’architettura, delle arti come del cinema e della critica d’arte degli anni venti, da Adolf Behne a Walter Benjiamin. Centro della discussione proprio il principio della Gestaltung in quanto proposta di costituzione di un processo metodologico della produzione di una cultura in cui la creazione della forma è connessa ad un’idea di necessità di critica nei confronti dello stato delle cose e di interpretazione socialmente positiva della possibilità di una nuova equità nella civiltà industriale dopo un secolo di sviluppo. Il libro G: An Avant Garde Journal of Art, Architecture, Design and Films (Tate Publishing) appena pubblicato è composto da un’analisi storico-critica ampia e ben articolata con quattro saggi sulle idee della rivista, sulla sua grafica, sulla presenza della fotografia, del cinema, dell’architettura. Offrendo, tra l’altro, un ottimo materiale iconografico dei sei introvabili numeri pubblicati.
Le pubblicazioni in merito al ruolo complessivo delle riviste di avanguardia dei primi trent’anni del XX secolo non sono numerose: il numero monografico della rivista «Rassegna» del 1982 ne illustrava più di una quarantina da quelle come «Rept», «Asnova», «S.A.I Si Moisej Ginzburg», «Vesc.» di Lissitsky pubblicate in Unione Sovietica, a «Blok» e «Presens» in Polonia; altre sei in Ungheria e Romania (da «Zivet» a «Disk»), «Red» in Cecoslovacchia, «De Stijl», «I10» e «Meceano» in Olanda, «391» e poi «AC» in Spagna, «Dada» e «ABC» in Svizzera, in Francia, «Mecano» e «L’eprit nouveau». Negli Stati Uniti vanno ricordate almeno «Camera work» e «Little Review» che si pubblica dal 1914 al 1929. Naturalmente la tradizione delle riviste di avanguardia si muove da riviste come «Das Andere» in Austria. Ma è soprattutto la Germania a produrne in maggior numero: da «Der Sturm» a «Frulicht», da «Die Form» a «Mérz», dai «Bauhausbücher» a «Das Neue Frankfurt», a «der Dada».
Poi le riviste di avanguardia diventano negli anni trenta riviste di opinione critica, come «OpBaun» o l’inglese «Focus», l’«Architecture d’aujourd’hui» in Francia, o le riviste italiane di resistenza come «Casabella» e «Quadrante». La tradizione critica si prolunga sino agli anni cinquanta e sessanta con «Casabella Continuità» di Rogers in Italia e poi con «Contropiano» e «Marcatré», con «Utopie» in Francia, «Focus», «Uppercase» e «Living Arts» in Inghilterra, «Nueva Vision» in Argentina, sino alle utopie tecnologiche di Archigram e degli architetti giapponesi ed alle riviste americane come «Dot Zero» e «Design Quarterly».
L’importante capitolo del mutare della funzione e dell’importanza delle riviste in architettura non è stato sinora accompagnato da un tentativo esauriente di analizzare la relazione tra le diverse posizioni, il loro evolversi nel tempo ed insieme il vitale interesse nel confronto di un internazionalismo critico, che sono invece i meriti di questo studio sulla rivista «G». Tutto questo è ben diverso dall’attuale noiosissima unificazione delle pubblicazioni sotto l’insegna del protagonismo del successo mediatico, dell’incessante attualità pubblicitaria senza progetto critico. Al contrario «G» è il simbolo della contesa aperta tra progetti di futuro, colmi di speranza che oggi possiamo anche tristemente considerare ingenue ed inadeguate, ma che hanno mosso quasi tutte le invenzioni creative dell’ultimo secolo. Invenzioni che, svuotate di ogni ideale se non quello del mercato, muovono invece oggi sotto l’insegna delle mode del «contemporaneo» considerato come il genere indispensabile del successo.
Ciò che stupisce nei nostri anni è proprio l’assenza di tensione che sembra essere stata invece materiale indispensabile dell’invenzione dei linguaggi nella prima avanguardia compresa, ma anche l’infrazione dell’etica convenzionale, la viva curiosità critica nei confronti della diversità delle culture, lo scambio delle esperienze tra le arti nel rispetto delle diverse specificità. Ed infine, per quanto riguarda anche la preminenza dell’architettura come sede o contesto di ogni nuova forma creativa, la Gestaltung che riemerge continuamente rafforzata e radicalmente rinnovata dall’esempio dell’antico.