Scritto da Wanda Lattes – Corriere della Sera
Dopo il successo della mostra sul Bronzino, trionfante nella natia Firenze, la Fondazione Palazzo Strozzi gioca la carta internazionale con tre spagnoli dirompenti, Pablo Picasso, Joan Miró e Salvador Dalí, protagonisti del gran Novecento parigino. Già dal titolo, «Giovani e arrabbiati: la nascita della modernità» , l’esposizione mette in rilievo le qualità «giovanili» , «di rottura» delle rispettive produzioni, in una movimentata epoca, lunga oltre venti anni, vissuta in maniera autonoma dai tre artisti, diversi per età e formazione, e però legati dal filo dell’amore ambizioso per la libertà. Il percorso è dunque un incontro, un intreccio di genialità autonome, segnate dall’aspirazione al nuovo, alla giovanile potenza. Curata da Eugenio Carmona dell’Università di Malaga e da Christoph Vitali, consulente dei grandi musei svizzeri, la rassegna vuole esplorare i percorsi dei tre pittori, cresciuti in Catalogna, ma legati dagli incontri determinanti con la insostituibile, fertile Parigi dei primi decenni del Novecento. La visione delle opere va a ritroso nel tempo, «come un film importante, emozionante» , dice Carmona. Infatti la prima delle cinque sezioni parla del tempo più vicino a noi. Sulle pareti, alcune scritte, come la frase di un audace Dalí che incontra — siamo nel 1926 — Picasso e lo omaggia. Dice: «Maestro, son venuto da lei prima di andare al Louvre» . E si sente rispondere un secco: «Molto bene» . Poi, libero e felice, si getta nella sua creatività. Il suo «Nudo nell’acqua» verrà donato, nel tempo, a García Lorca! Seguono la sala del «Neucentisme» (siamo tra il 1915 e il 1925) in cui Miró e Dalí esaltano gli scenari della Catalogna in uno scenario artistico che reagisce agli eccessi del Modernismo; e poi quella del rapporto tra Miró e Picasso, con un incontro mancato a Barcellona nel 1917 all’epoca della rappresentazione dei Ballets Russes e uno avvenuto a Parigi nel 1920: qui Miró viene convinto da Picasso della necessità di vivere nella capitale francese per essere un artista libero, eppure resta incapace di staccarsi dalla sua profumata regione natia. Infine, in questo viaggio all’indietro si arriva ad analizzare quel percorso creativo di Picasso (tra il 1895 e il 1907) che segna la nascita della modernità. Con una chicca che Carmona suggerisce come una specie di guida spirituale, cioè i ben ottantasette schizzi del «Cahier 7» . Una guida del gusto, dell’istinto creatore, insomma, portato direttamente dalla casa natale di Malaga. Un’esperienza visiva senza paragoni. Si può supporre, senza nulla togliere agli altri due autori, che il nome destinato a eccitare in partenza lo slancio del pubblico sia ovviamente quello di Pablo Picasso; e infatti non a caso i «Pensieri» , che distinguono le sezioni, rimandano tutti alle date degli incontri parigini con colui che nessuno si azzarda a considerare «par inter pares» . Appare, amato e temuto protagonista, quel Picasso nato nel 1881 (mentre Miró è del 1893 e Dalí del 1904) e inaugura la sua vita parigina, la sua ribellione politica, la sua avversione «anarchica» per l’arte borghese, proprio agli inizi del secolo. Il visitatore troverà tra l’altro, proveniente da Mosca, il famoso «I due saltimbanchi» assieme alla «Danzatrice spagnola» , che viene da New York, «Le peonie» (da Washington) e anche il quadro dedicato nel 1937 alla «Donna che piange» , assai più vicino al proverbiale stile di «Guernica» . I disegni del «Cahier 7» rivelano la chiara origine delle famose «Demoiselles d’Avignon» , che segnano l’inizio del Cubismo.