Scritto da FRANCESCA MARANI – Venerdì de la Repubblica
Una tela che sedusse molti, l’isola dei morti di Böcklin, è esposta, accanto a lavori di De Chirico e Nunziante, per la prima volta in Italia. Eppure si ispirerebbe al castello aragonese di Ischia
«Aqualsiasi cifra ». Era tanta l’ossessione per Arnold Böcklin che Hitler non aveva posto limiti all’intermediario. E così, a un’asta del 1936, riuscì ad aggiudicarsi L’isola dei morti, il quadro più celebre del pittore svizzero. A quale cifra non si è mai saputo, «a quei tempi non c’erano cataloghi né bollettini di aggiudicazione. Di sicuro oggi possiamo azzardare una quotazione di oltre centomilioni di euro» spiega Giovanni Faccenda, curatore della mostra Isole del pensiero. Böcklin, de Chirico, Nunziante, a Fiesole dal 16 aprile al 19 giugno (www.museidifiesole.it).
Pezzo forte dell’esposizione, per la prima volta in Italia, è proprio quel dipinto, dal quale Hitler non si separò mai. Rimane una foto del dittatore nel suo studio, con il ministro sovietico Molotov e il tedesco Ribbentrop, durante gli accordi per il patto di non aggressione del 1939: sullo sfondo, L’isola dei morti.
Hitler volle il quadro con sé, fino alla fine, nel bunker di Berlino. Un generale dell’Armata Rossa lo portò a Mosca, e si credette fosse andato perso, fino a quando, nel 1980, la Russia lo offrì alla Nationalgalerie di Berlino.
In mostra a Fiesole, dove Böcklin morì centodieci anni fa, altri suoi quattro dipinti, accanto a cinque di Giorgio de Chirico e a venti di Antonio Nunziante. «In entrambi echeggia fortissima la lezione di Böcklin» spiega il curatore: «possiamo definirli, come il maestro svizzero, “pittori enigmisti”, portati a rappresentare ciò che non è visibile ma è percepibile ». Un itinerario metafisico iniziato da Böcklin, percorso prima da De Chirico e oggi da Nunziante.
«Nessun pittore, come quest’ultimo, ha dipinto per affinità di spirito in modo così vicino a Böcklin» dice lo studioso Hans Holenweg, che in occasione della mostra rivelerà, dopo tante ipotesi, a quale luogo si è ispirato Böcklin: al castello aragonese sull’isolotto di fronte a Ischia.
Hitler fu l’estimatore più famoso dell’atmosfera onirica e misteriosa dell’Isola dei morti, di quella figura bianca che su una barca porta una bara verso un grande scoglio roccioso, ma la suggestione suscitata dal quadro (Böcklin fu spinto a farne cinque versioni, dal 1880 al 1886, quella del dittatore era la terza) influenzò artisti, scrittori, musicisti e poeti. Da Munch a Magritte, da Max Ernst a Salvador Dalí. Strindberg ne fece la scenografia della Sonata degli spettri.
Rachmaninov compose un poema sinfonico con lo stesso titolo del dipinto, che ispirò anche una poesia di Majakovskij. In tempi più recenti, il quadro è «apparso» in Nabokov e in Milo Manara.
Avere in casa un’Isola dei morti è stato a lungo un must, come si direbbe oggi. A fine Ottocento, una sua riproduzione era considerata un regalo di nozze di alta classe.
D’Annunzio ne possedeva una, Freud ne teneva nel suo studio ben ventidue. E anche Lenin ne aveva una, proprio sul letto. Più trasversale di così.