Scritto da Marco Rosci – La Stampa

Picasso, Dalì, Modigliani: tra le due guerre la città fu una fucina di movimenti e creatività. Una grande mostra a Ferrara la racconta
 “I nudi di Modì, i primi mobiles di Calder e la nascita del surrealismo Le sperimentazioni negli Anni 30 vedranno gli opposti ostracismi di nazismo e stalinismo”

FERRARA. Prima che New York e l’America prendessero negli Anni 50 il sopravvento, fu Parigi la capitale dell’arte del Novecento. La Ville Lumière tra le due guerre era una sorta di fucina di movimenti e di idee, vide artisti di tutto il mondo accorrervi per capire le nuove forme e i nuovi linguaggi che Picasso, Ray, Léger, Modigliani Dalí andavano sperimentando. A questo irripetibile crogiuolo di creatività è dedicata la mostra «Gli anni folli», che mette in vetrina la città ombelico delle avanguardie artistiche e letterarie fra ritorni all’ordine, eredità cubofuriste, astrattismi e surrealismo (i movimenti che hanno segnato il «Secolo Breve» videro dopo gli Anni 30 gli «opposti ostracismi» del nazismo e dello stalinismo).
A raccontare tutto questo è un’esposizione intelligente nelle scelte e negli accostamenti, curata a Palazzo dei Diamanti da Simonetta Fraquelli, Susan Davidson e Maria Luisa Pacelli. In vetrina in tutto una novantina fra dipinti, sculture e fotografie. Proprio alcune foto d’epoca, che accompagnano i saggi introduttivi, ne illustrano lo spirito di fondo. Tra queste troviamo Silvia Beach e James Joyce nella segreteria della libreria «Shakespeare and Co.», con alle spalle manifesti di conferenze sullo «scandalo Ulysses» (l’opera dello scrittore irlandese ha segnato la letteratura del ‘900 proprio come le opere di Picasso & C. ne hanno segnato l’arte) o la Tour Eiffel notturna, con le luci mobili a spirali e i marchi Citroën, in occasione dell’Expo des Arts Décoratifs nel 1925. Vi sono inoltre gli interni della casa del mercante Léonce Rosenberg con i quadri di De Chirico e di Savinio e Scacchiera di Man Ray, 20 ritratti di artisti e letterati surrealisti su fondi bianchi e neri. Siamo nel ‘34, un anno prima delle rotture interne del gruppo in seguito alla denuncia dello stalinismo da parte di Breton e Eluard. Vi è infine lo stupendo ritratto di profilo di Picasso realizzato da Cecil Beaton nel 1933 nella sua casa di Rue de La Boétie, con lo sfondo flou di un quadro di Bagnante di Renoir.
La mostra si apre proprio con due grandi quadri di vecchi superstiti, La fonte di Renoir e Il ponte giapponese a Giverny di Monet. Quasi a testimoniare come questi abbiano influenzato gli artisti a venire. Il primo salone esibisce sul fondo due Nudi sdraiati contrapposti di Modigliani e di Foujita, vere e proprie insegne ed emblemi delle follie di Montparnasse. Essi serrano al centro la verticale dello S tudio a Montparnasse di Nevinson del 1926, della Tate Gallery. A circondare questi capisaldi ci sono opere non sempre dello stesso livello qualitativo. Lo slancio déco della Rossa di Kisling, con la sorpresa dechirichiana della mezza figura nera dietro alla tenda di spalle, surclassa agevolmente la solita Tamara de Lempicka, che pure era una star dell’epoca. Il Ragazzo con i pantaloni corti di Modigliani da Dallas, il Chierichetto di Soutine, il geniale fil di ferro aereo Senza titolo del giovane Calder parigino sono nettamente più significativi e rappresentativi del Gallo del 1928 di Chagall e del Nudo di Matisse da Lugano.
Viene poi evidenziata, con scelte di ottima qualità, l’alternativa fra l’eredità cubista dei maestri e dei «puristi» e la nascita dell’astrattismo. Da un lato si susseguono Chitarra, bicchiere e fruttiera di Picasso del 1924 da Zurigo, il capolavoro di Braque Il tavolino rotondo del 1928 da Copenhagen, ottime scelte di Léger e di Gris, le eleganze architettoniche puriste delle tele di Ozenfant e di Le Corbusier. Dall’altro due tipici Mondrian del 1922 e 1926 sono abbinati all’ulteriore sorpresa di una tela di Calder della Fondazione Calder di New York.
Di grande fascino scenico è la sala dedicata alle concessioni da parte del Dansmuseum di Stoccolma, intitolato a Rolf de Maré, l’erede di Diaghilev creatore nel 1920-25 dei Balletti Svedesi, con bozzetti di scena e di costumi di Léger, e costumi di Larionov, di Matisse e di De Chirico. Altrettanto affascinante è la sezione fotografica, con il suo incrocio fra la tradizione dell’oggettività documentaria e sociale del mondo urbano e l’innovazione della soggettività anche sperimentale dell’operatore: la Parigi di Atget, di Kertész con gli occhiali e la pipa di Mondrian del 1926, della Krull, della Bing, di Man Ray.
La parte successiva esalta il contrasto, ma anche la profonda inquietudine che c’è nella nuova plasticità del «ritorno all’ordine» postavanguardista. Abbiamo così le due Maternità di Picasso del 1921, il fondamentale Due figure mitologiche di De Chirico del 1927, due Derain del 1923, e le opere di Duchamp del 1919-21, con i rifacimenti del 1974, e Obstruction di appendiabiti del 1920 di Man Ray, anch’esso rifatto nel 1964. Queste icone del trasferimento di Dada da Zurigo, dalla Germania e da New York a Parigi, aprono la strada all’ultimo capitolo dedicato al surrealismo. Le scelte sono giustamente limitate fra gli ultimi Anni 20 e i primi Anni 30: da Arp a un bel Dalí del 1935, con giusto primato pittorico di Ernst, Miró, Masson, Magritte e un bellissimo bronzo di Donna cucchiaio di Giacometti del 1926.

GLI ANNI FOLLI LA PARIGI DI MODIGLIANI, PICASSO E DALÍ 1918-1933 FERRARA PALAZZO DEI DIAMANTI FINO ALL’8 GENNAIO 2012