Scritto da LEA MATTARELLA – la Repubblica

Il Viaggio, il dolore, la bellezza di due grandi artisti
Al Palazzo Ducale di Genova sono esposti ottanta capolavori Cuore del progetto è l´opera chiave del maestro francese prestata solo di rado da Boston Anche per il pittore olandese c´è un dipinto-evento: “Campo di grano con covoni”
Un paio di scarpe deformate, logore, sfinite. Vincent Van Gogh le ha indossate nel suo viaggio, in gran parte a piedi, dall´Olanda al Belgio. E poi le ha dipinte, nel 1886 dopo aver raggiunto Parigi, in un quadro pieno di pathos, dono prezioso e carico di significato per Paul Gauguin che ne parla in uno scritto del 1894. Inizia così, con una tela simbolica e struggente, la mostra Van Gogh e il viaggio di Gauguin, aperta a Genova a Palazzo Ducale (fino al 15 aprile), curata da Marco Goldin e accompagnata da un suo libro pubblicato da Linea d´ombra.
Questo dipinto, metafora di un cammino nello stesso tempo fisico e interiore, è allestito in maniera sorprendente. Accoglie infatti il visitatore in un ambiente in cui è ricostruita la celebre camera di Van Gogh ad Arles dove, in un cortocircuito prima ancora emotivo che visivo, è posto accanto a due paesaggi di Giorgio Morandi del 1943. «Il viaggio – spiega Goldin – parte sempre da una stanza. Ma ci sono due strade possibili e io le ho volute indicare immediatamente entrambe. La prima è quella di Van Gogh che si sposta da un luogo all´altro o che cammina nervosamente nella sua camera di solitudine, calzando quelle stesse, struggenti scarpe con cui ha intrapreso un cammino che poi si rivelerà nel colore e nella luce. La seconda è quella di Morandi che resta tutta la vita nello stesso posto e non ha neanche bisogno di uscire perché dipinge ciò che vede dalla sua finestra con il cannocchiale. La sua è un´avventura mentale, sottilmente di sguardi. Ma è pur sempre un viaggio».
Cuore di questa mostra che attraversa l´Europa e l´America, il XIX e il XX secolo, è un´opera chiave di Paul Gauguin, uno dei capolavori della pittura di tutti i tempi: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Un dipinto che ha comunque viaggiato molto poco: il Museum of Fine Arts di Boston, dov´è conservato, lo ha concesso in prestito soltanto quattro volte in un secolo. E solo due in Europa. Quindi l´arrivo di questo monumentale quadro che si estende per quasi 4 metri di larghezza, è un evento che già di per sé varrebbe una visita alla mostra. E che rivela, fin negli interrogativi suggeriti dal titolo e dichiarati da Gauguin in una scritta sul lato sinistro in alto, il significato più profondo di questa rassegna: il viaggio è sempre dentro di sé. E non importa se si attraversi l´Oceano, o una strada, o un pensiero.
Per mostrare tutta la forza visiva di quest´opera nella sala più grande del palazzo si è ricostruita, con un imponente effetto teatrale, la capanna di Gauguin a Tahiti come ci è stata tramandata da alcune fotografie scattate nel 1897. È qui e proprio in quell´anno che Gauguin lo ha dipinto, durante il suo secondo soggiorno – o la sua seconda fuga? – nei mari del Sud.
Sappiamo che nessun artista più di lui incarna la figura del viaggiatore che esplora luoghi lontani per ritrovare un´armonia altrimenti perduta, una riappacificazione con la natura, con il suo io primordiale e primitivo e per questo autentico, inviolato. «Sono un selvaggio, un lupo, senza collare, nella foresta» diceva di sé. E questo quadro doveva essere una specie di testamento, «il sontuoso mantello dei miei sogni». Gauguin lo realizza in un mese di lavoro febbrile che va avanti giorno e notte. Ha infatti saputo della morte della sua amata figlia Aline, è malato, povero e infelice. Vuole togliersi la vita. Prima di farlo però ha intenzione di realizzare il suo capolavoro. È questo: enigmatico, pieno di simboli, costruito come un fregio, dove si incontrano bambini addormentati, figure che si confidano pensieri, idoli, vecchie, animali, vegetazione. Gauguin confesserà all´amico Daniel de Monfreid: «Credo che non solamente questa tela superi in valore tutte le precedenti, ma soprattutto che io non ne farò mai una migliore o che anche solo le si avvicini. Qui ci ho messo, prima di morire, tutta la mia energia, una tale passione dolorosa in delle circostanze terribili, e una visione talmente netta, senza correzioni, che l´aspetto frettoloso scompare e ne emerge la vita». Il tentativo di suicidio dell´artista andrà fallito. Sopravviverà fino al 1903 e di opere ne farà altre. Celebri e bellissime. Ma come aveva preconizzato nessuna raggiungerà mai la potenza espressiva di questo superba tela orizzontale.
La dimensione spirituale del viaggio così ben interpretata dal quadro-culto di Gauguin, scandisce con sicurezza le tappe della mostra. Ma è davvero evidente quando ci si imbatte nei quaranta Van Gogh raccolti per questa occasione, 25 dipinti e 15 disegni a essi collegati, provenienti in gran parte dal Van Gogh Museum di Amsterdam e dal Kröller Müller Museum di Otterlo. Com´è noto un pezzetto del loro cammino l´artista olandese e Gauguin lo hanno fatto insieme. Pochi mesi di convivenza nel 1888 ad Arles, nel Sud della Francia, con un finale tragico.
Anche per Van Gogh la mostra si distingue per un dipinto-evento. Si tratta di quel Campo di grano con covoni dipinto ad Auvers poche settimane prima del suicidio. Questa volta riuscito. Un´opera che a causa della sua fragilità non era esposta al pubblico da più di 40 anni e che per l´occasione è stata sottoposta a un accurato restauro. «Ho voluto rappresentare il suo passaggio dall´oscurità alla luce», dice ancora Goldin parlando della scelta delle opere di Van Gogh. Si parte infatti dal buio appena interrotto dall´apertura di una finestra del Tessitore al telaio del 1884 fino alla luminosità dei frutteti, dei campi di grano, delle barche a Saintes-Maries-de-la-Mer, dei vigneti, gli ulivi, l´immensità del sole che sembra proteggere il Seminatore. Con la stessa pennellata febbrile, nervosa, carica di espressività, Van Gogh ritrae se stesso al cavalletto. Fino alla fine Van Gogh sarà capace di creare allarme e inquietudine nelle cose più semplici: alberi, orizzonti, paesaggi. E quel campo su cui si agitano i corvi sembra dare forma a un chiaro presagio di morte.