22Ago2013
Scritto da FABIO GAMBARO, la Repubblica
“L’arte non è più bellezza, ma ricerca di sensazioni: così il mercato diffonde una nuova percezione del mondo”. Intervista al sociologo francese
Lipovetsky: “Ormai siamo tutti consumatori estetici”
PARIGI. «Oggi, il vettore dell’estetizzazione del mondo non è più l’arte, ma il consumo ». Per Gilles Lipovetsky, il trionfo del «capitalismo artista», che ha fatto dell’estetica uno strumento essenziale della propria espansione, sta trasformando radicalmente la società e la percezione stessa dell’arte. Per descrivere e analizzare questo fenomeno che ogni giorno interagisce con le nostre vite, il celebre sociologo francese ha scritto, insieme a Jean Serroy, un vasto saggio intitolato L’esthétisation du monde (Gallimard, pagg. 490, 23,50 euro), nel quale sottolinea il carattere ambivalente e contraddittorio di questa ennesima metamorfosi del capitalismo, difendendone però la forza innovativa. Per lui infatti il capitalismo artista diffonde una crescente attenzione allo stile e alla bellezza, facendo appello al gusto e alla sensibilità degli individui. All’homo oeconomicus si è affiancato così l’homo aestheticus.
«Il capitalismo artista è arrivato a maturità, portando a termine una storia cominciata fin dalla metà del XIX secolo», spiega lo studioso, già autore di molti saggi, tra cui L’era del vuoto, Una felicità paradossale e La cultura-mondo.
«L’industria del consumo ha ormai incorporano in maniera sistematica il parametro dell’estetica. È un fenomeno totale. Nessun oggetto sfugge a tale modello, perfino i più banali. Questo capitalismo di seduzione contribuisce a rendere più sensibile all’estetica tutta la società. E la sua dimensione più creativa ed edonistica coesiste — non senza contraddizioni e conflitti — con la tradizionale dimensione razionale e contabile del capitalismo. La lettura marxiana di un capitalismo unicamente rivolto al profitto e capace solo di sfigurare il mondo va secondo me aggiornata ».
Nel mondo dei consumi l’estetica è comunque al servizio del profitto. Non è in contraddizione con una visione disinteressata dell’arte?
«Noi, in effetti, siamo ancora sensibili a una dimensione disinteressata, pura e romantica dell’arte. Nel capitalismo artista accade esattamente il contrario. L’economia e l’estetica danno luogo a un sistema trans-estetico al cui centro, più che la ricerca della bellezza, agisce la ricerca di sensazioni. Il capitalismo artista s’interessa certo alle forme, ma soprattutto cerca di produrre emozioni. Indifferente al sublime, non mira alla verità dell’arte né tanto meno sogna opere immortali ed eterne. La sua è un’estetica in continua trasformazione».
Questa massiccia presenza estetica nel mercato di consumo quali conseguenze ha prodotto nel mondo dell’arte?
«La cultura del denaro e del successo ha evidentemente influenzato un mondo artistico dove ormai è venuta del tutto meno la tradizionale opposizione tra arte e mercato. Ma va detto che il capitalismo ha solo accompagnato un’evoluzione già in corso autonomamente all’interno del mondo artistico. Se infatti, ai tempi di Baudelaire, l’artista vive per l’arte e non per il denaro, difendendo una visione romantica della sensibilità artistica, già ai tempi delle avanguardie novecentesche l’arte si è allontanata dall’estetica tradizionale, disinteressandosi del bello. L’arte è diventata un’esperienza. Con Warhol, l’artista rinuncia alla boheme e si trasforma in un imprenditore che fa affari e per il quale gli affari sono arte. L’arte è diventata così un settore del mercato. Questa evoluzione è avvenuta parallelamente all’esplosione della società dei consumi, che evidentemente l’ha accentuata e accelerata».
Per alcuni critici la dimensione estetica dei prodotti di consumo sarebbe solo una vasta opera illusionistica. Che ne pensa?
«È vero che, come diceva Raymond Loewy tra le due guerre, il brutto si vende male. I prodotti di consumo usano quindi l’estetica della seduzione per imporsi sul mercato. Ma il capitalismo artista non produce solo illusioni. In realtà, contribuisce a cambiare il mondo e soprattutto le persone. Il capitalismo artista ha cambiato le nostre aspirazioni, il nostro sguardo sulla realtà e i nostri comportamenti.
Ci ha trasformato interiormente, facendo di noi dei consumatori estetici. Una volta la bellezza era un’esperienza riservata ai ricchi. Oggi tutti possiedono un senso estetico e desiderano una relazione estetica con la realtà. La fruizione artistica si è democratizzata, dando luogo a un edonismo diffuso».
Non è una visione troppo ottimistica?
«So bene che alcune forme d’arte continuano a essere appannaggio di un pubblico privilegiato. L’opera lirica si rivolge ancora a poche persone ed è vero che l’arte contemporanea ha successo solo quando è molto semplice, come ad esempio quella di Jeff Koons. Va però riconosciuto che altre forme d’arte sono ormai molto diffuse, penso al cinema, alla musica, alla street art. Da questo punto di vista la democratizzazione dell’arte è una realtà indiscutibile. Ognuno fa le proprie esperienze estetiche, anche minori. E in ciascuno vive un piccolo desiderio artistico. Ascoltare Vivaldi non è certo la stessa cosa che ascoltare Withney Houston, ma l’emozione estetica può essere la stessa. Sul piano delle ricezione non è c’è gerarchia. L’esperienza estetica può essere intensa e sconvolgente sia con un’opera raffinata che con un’opera molto popolare. Certo, non tutti leggeranno l’Iliade, ma ciò che conta è la progressiva diffusione delle esperienze estetiche».
Lei però nel libro sottolinea anche i limiti di questa evoluzione…
«In effetti, nonostante la presenza diffusa dell’estetica nel capitalismo, il mondo non è diventato più bello e la gente non è più felice. La crescente diffusione del sentimento estetico ci rende tutti più esigenti e quindi più critici. Siamo diventati feroci, dei veri e propri terroristi del giudizio critico nei confronti degli altri. Tutto ciò evidentemente produce angoscia negli individui. Un altro fallimento del capitalismo artista è evidente sul piano urbanistico. Le città fatte di enormi periferie sono dei non luoghi senz’anima e senza estetica. Procurano un sentimento di monotonia e di uniformità terrificante, che è esattamente il contrario dell’investimento estetico dominante. Insomma, il capitalismo artista, per ora, non ha saputo trasformare il paesaggio urbano. Secondo me però l’architettura sarà l’arte dominante del XXI secolo».
Quale sarà l’evoluzione futura del capitalismo artista?
«Dopo l’ibridazione tra estetica e economia, razionale e irrazionale, calcolo e emozioni, in futuro si aggiungerà una nuova ibridazione con l’ecologia. Il capitalismo dovrà fare i conti con il paradigma ecologico, che finora è sempre stato del tutto estraneo alle preoccupazioni dell’estetica. Da questo punto di vista, il movimento nato attorno a slow food è l’espressione dell’emergere di un desiderio estetico differente, capace di preoccuparsi della salvaguardia del pianeta. Un desiderio che in nome della qualità si contrappone alla velocità della mondializzazione che esige profitti immediati».
Pensa che i giovani siano attrezzati per orientarsi nella nuova selva culturale del capitalismo artista?
«Oggi la vita estetica occupa uno spazio considerevole nella vita di tutti. Per evitare che le regole estetiche siano solo quelle dettate dal mercato, dobbiamo aiutare i giovani ad allargare i loro orizzonti d’esperienza. Non dobbiamo dire loro ciò che devono amare — perché i gusti non si decretano — ma dobbiamo aiutarli a scoprire la varietà dell’offerta culturale, dando loro gli strumenti per orientarsi. La scuola deve inventare una nuova educazione artistica. È una sfida capitale perché la vita estetica è ormai diventata un ideale diffuso».