27 Mag

Il quadro che divide il Sudafrica

Scritto da Marilisa Palumbo – Corriere della Sera

Sembra una storia sulla libertà di espressione, ma è molto di più. «The Spear» (la lancia), il grande acrilico rosso, nero e giallo che ritrae il presidente del Sudafrica Jacob Zuma in posa alla Lenin e con i genitali in vista, esposto in una galleria di Johannesburg, sembra aver riportato al centro del dibattito pubblico molte ferite del passato di questa giovane democrazia.
È offensivo e irrispettoso delle umiliazioni sofferte dai neri durante l’apartheid, secondo il leader dell’African National Congress, che ha portato la Goodman Gallery in tribunale affinché rimuova il quadro in nome del suo diritto costituzionale alla dignità.
Intanto la galleria è già stata chiusa dopo che l’opera di Brett Murray, artista bianco noto per il suo impegno contro il razzismo, è stata sfregiata da due vandali con pennellate di vernice rosse e nere sul volto e sul pene di Zuma.
Giovedì, durante la prima affollatissima udienza, trasmessa in diretta televisiva nazionale, l’avvocato dell’Anc, Gcina Malindi, ha contestato il parere degli esperti d’arte, secondo i quali è ormai impossibile controllare la riproduzione dell’opera su Internet. Giudizi dell’élite bianca, per il legale, irrispettosi della sensibilità di molti neri sudafricani, che a 18 anni dalla fine dell’apartheid ancora vivono sotto la soglia di povertà e non hanno accesso all’istruzione.
A un certo punto del dibattimento, Malindi è scoppiato in lacrime. Troppi ricordi del passato, ha spiegato l’avvocato che moltissimi anni fa — tra il 1985 e l’89, in un’altra era della storia del Sudafrica — fu portato alla sbarra, accusato dal governo dei bianchi di tradimento e terrorismo. Condannato, passò un anno nell’infame prigione di Robben Island.
Dopo il pianto di Malindi, la corte si è aggiornata a data da destinarsi. Ma le polemiche vanno avanti, con un’altra parte del Paese che non si commuove, e non ci sta a inquadrare il caso solo attraverso la lente razziale. Sono quelli che puntano il dito contro la crescente intolleranza alle critiche dell’Anc e del settantenne Zuma, personaggio controverso, sposato sei volte (attualmente ha quattro mogli), accusato e poi prosciolto di stupro e corruzione.
L’invito a «tutti i sudafricani» a boicottare City Press, reo di aver pubblicato il ritratto senza censure, e ai pubblicitari a ritirare le inserzioni dal quotidiano, ha offerto munizioni a quella fetta della società civile già sul piede di guerra contro il partito di governo, da ultimo per un disegno di legge sulla sicurezza che secondo i critici imbavaglierebbe la stampa.
Marilisa Palumbo

09 Mag

Il quadro d’arte contemporanea più costoso al mondo

Il quadro d’arte contemporanea più costoso al mondo

È dell’artista americano Mark Rothko ed è stato venduto ieri all’asta per 86,9 milioni di dollari

Il quadro Orange, red, yellow dell’artista americano Mark Rothko, è stato venduto all’asta di Christie’s, a New York, per 86,9 milioni di dollari, il prezzo più alto raggiunto da un’opera d’arte contemporanea a un’asta. L’asta ha incassato 388,5 milioni di dollari battendo il record precedente per un’asta di arte contemporanea, stabilito nel 2007.

(Le opere d’arte più care al mondo)

L’opera d’arte contemporanea più costosa finora era stata un Trittico di Francis Bacon, pagato 86,3 milioni di dollari nel 2008, mentre il quadro di Rothko più caro era stato venduto per 72,84 milioni di dollari. La scorsa settimana è stata battuta all’asta da Sotheby’s, sempre a New York, l’Urlo di Edvard Munch: la vendita ha raggiunto i 119,9 milioni di dollari, superando qualsiasi record precedente e rendendo il dipinto l’opera d’arte più costosa mai venduta durante un’asta. Oggi Sotheby’s terrà un’altra importante asta d’arte il cui pezzo forte è Sleeping Girl di Roy Lichtenstein, il cui valore è stimato tra i 30 e i 40 milioni di dollari.

(L’Urlo di Munch animato)

Mark Rothko nacque nel 1903 a Dvinsk, nell’attuale Lettonia, e si trasferì negli Stati Uniti nel 1913. È considerato tra gli artisti più importanti del movimento espressionista astratto e i suoi quadri più famosi sono costituiti da rettangoli di colori sfocati: White and Greens in Blue (1957), Ochre e Red on Red (1954). Negli ultimi anni della carriera i suoi quadri si fecero più cupi. Rothko si uccise nel febbraio del 1970.

Foto: STAN HONDA/AFP/Getty Images

04 Mag

L’«Urlo» che sovrasta la crisi

Scritto da Arianna Di Genova – il manifesto

Record da Sotheby’s a New York. Edvard Munch raggiunge i centoventi milioni

L’angoscia non ha prezzo e non è neanche a tempo determinato, ma eterna. È così che una delle quattro versioni dell’Urlo di Edvard Munch – l’unica in mani private, le altre sono nei musei norvegesi – è volata nella hit parade delle stelle mondiali, calamitando su di sé una cifra «fantasy» come centoventi milioni di dollari (centosette più i diritti), la più alta di tutti i tempi. L’asta di Sotheby’s a New York, attesa come un banco di prova dove tastare il polso alla depressione «da crisi», ha sbalordito il suo parterre di collezionisti assegnando quel quadro dell’uomo sofferente in dodici minuti e a un prezzo che è salito di dieci milioni a ogni battuta di martelletto del banditore Tobias Meyer. Ottanta era la stima iniziale di quello Scream, icona di un mondo che rotola inesorabilmente verso l’alienazione, che è nata per raccontare l’ansia tutta moderna che apriva il Novecento e ha finito per rappresentare la precarietà individuale e collettiva del XXI secolo, incarnando, a suo modo, le teorie di Bauman sulla «liquidità» della società.
Come metro di paragone, per meglio comprendere l’eccezionalità della vendita all’incanto svoltasi nella Grande Mela, basti pensare a un master delle aste quale Picasso che è sceso al secondo posto nella classifica dei record mondiali assegnati prima dell’apparizione di Munch: ieri, la Femme assise dans un fauteuil dell’artista spagnolo (una tarda opera cubista del 1941) è stata acquistata per trenta milioni di dollari, mentre uno dei primi paesaggi di Tahiti di Gauguin non ha raggiunto i nove milioni e un disegno a inchiostro e pennello di Matisse è stato comprato per quasi tre milioni.
L’emaciato signore che cammina portandosi dietro il fardello di un corpo destrutturato in linee sinuose e che tiene premute le mani sulle orecchie per non sentire la natura che «strepita» è stato uno dei punti estremi del pittore norvegese. Dopo, in molte sue opere meno laceranti, è tornata la malinconia simbolista di stampo nordico. E nell’asta newyorkese, Summer Night, quadro che testimonia quel periodo più mainstream non ha avuto la stessa fortuna dell’Urlo ed è rimasto al palo con settecentomila dollari di stima base, lasciando indifferente il pubblico. Il dipinto , che è stato a lungo conteso fra sette collezionisti (rilanciavano al telefono), apparteneva a Petter Olsen. Per suo padre, Munch era un amico di famiglia e Olsen ha spiegato di voler vendere il quadro per permettere anche ad altri di possederlo. La versione passata a Sotheby’s risale al 1895 ed è anche l’unica a mostrare un testo scritto sulla cornice, lo stesso che il pittore aveva precedentemente affidato alle pagine del suo diario: «Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura».