Scritto da Marcello Parilli – Corriere della Sera
«Legno, sabbia, pietre: creatività concreta che dopo quarant’anni pulsa ancora»
Verrebbe quasi da chiamarla «Operazione Arte Povera», questa monumentale mostra-evento che ha l’ambizione di esporre l’intero percorso creativo del movimento d’avanguardia nato a fine anni 60, secondo criteri del tutto nuovi, e che certamente ne costituisce la più completa antologica mai allestita. Non un luogo espositivo, ma otto sedi tra musei e istituzioni culturali in sette città diverse (vedi box nella pagina accanto), non uno spazio tradizionale e circoscritto, ma 15 mila metri quadrati spalmati nei musei d’arte contemporanea di tutta Italia dove allestire opere spesso gigantesche che richiedono aria, luce e prospettiva per essere allestite e fruite in modo corretto. Anche i muri e pavimenti bianchi (è il caso della Triennale di Milano) fanno scomparire il museo-contenitore regalando per contrasto la ribalta a queste opere asciutte, dirette, grezze, assemblate con metalli, tessuti, minerali, pietre e legni segnati dal tempo che parlano dell’uomo e del suo rapporto più profondo e universale con la natura.
«Una formula in qualche modo mutuata dal Guggenheim Museum di New York, dove ho lavorato quasi vent’anni — dice Germano Celant, curatore della mostra e vero artefice, critico e storico del movimento fin dalle sue origini —. Ci si rese conto che non si riusciva a esporre più del 3% delle opere. Così il museo venne ampliato non costruendo altri edifici in loco, ma aprendo nuove sedi in altri Paesi. Allo stesso modo, in questo caso sarebbe stato impossibile realizzare in un unico luogo una mostra con lo spazio adeguato e tutte le opere necessarie per dare un’idea esaustiva del movimento. Così abbiamo messo intorno a un tavolo i direttori dei più grandi musei d’arte contemporanea italiana, una specie di pacchetto di mischia, e abbiamo unito le forze per realizzare questa specie di sogno. Un prototipo di sinergia che in Italia non ha un presente significativo ma potrebbe avere molto futuro».
La vera e propria idea della mostra, invece, è nata da un libro, che ha tutta l’aria di scrivere la parola definitiva sull’argomento, e di cui l’evento è diventato una vera e propria appendice espositiva. Si tratta di «Arte Povera – Storia e storie» (560 pp, 70 euro, Electa) che raccoglie tutti gli scritti dello stesso Celant sull’Arte Povera dal 1967 al 2011 e che contiene la ristampa in copia anastatica del catalogo storico «Arte Povera – Storia e protagonisti» del 1985.
«Arte Povera 2011» potrebbe essere il primo caso di mostra itinerante, dove a itinerare non sono le opere (250 installazioni tra Milano, Bari, Bergamo, Bologna, Napoli, Roma e Torino), ma lo spettatore: ognuna delle mostre affronta infatti un diverso aspetto dell’Arte Povera (il 68, lo spazio, il teatro, la città, etc.) e chi volesse farsene un’idea completa farebbe bene a liberarsi qualche weekend di qui ad aprile, mese nel quale si concluderà l’iniziativa.
La mostra milanese, promossa dal Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli-Torino e da Triennale di Milano con il coordinamento di Electa, sarà aperta fino al 29 gennaio 2012 e sfoggia un titolo dal taglio antologico, «Arte Povera 1967-2011»: a piano terra, in spazi limitati, si trovano le opere storiche realizzate tra il 1967 e il 1975, con gli esordi di maestri del movimento come Pistoletto, Kounellis, Fabro, Boetti e Anselmo (lo stesso partner della mostra, Mercedes Benz Italia, esporrà nella sua sede milanese di via Gallarate l’opera di Pistoletto «Love Difference»). Al primo piano, invece, gli spazi esplodono e ospitano opere spesso mastodontiche messe in dialogo tra loro, di fatto la prosecuzione di una storia che, dal 1975 al 2011, ha continuato a produrre suggestioni nonostante il funerale del movimento fosse stato già celebrato nei primi anni 70 e il contesto sia oggi completamente diverso.
«Milano è il nodo principale di questa mostra a rete che la riporta al centro dell’arte contemporanea — dice l’assessore alla Cultura, Expo, Moda e Design Stefano Boeri —: anche se il movimento è nato altrove, qui lavoravano i galleristi e collezionisti che hanno recepito con intelligenza l’intuizione di Celant. Un’intuizione che oggi va celebrata perché l’Arte Povera, come tutte le correnti che mettono insieme una polifonia di idee, ha depositato il suo dna in tutta l’arte contemporanea».
Un movimento artistico, l’Arte Povera, figlio di un momento storico, sociale e politico ben preciso che ha prodotto una rivoluzione creativa generalizzata. Ma anche a 40 anni di distanza la forza propulsiva non è andata del tutto perduta: «L’Arte Povera si adatta come un animale strano al contesto. L’opera continua a cambiare, ad adattarsi a una parete, a un pavimento, a essere fisicamente vitale. Per questo è ancora attuale — dice Celant —. Ma soprattutto mi sto ponendo il problema di una storia dell’arte globale. L’iconografia non è in comune, ma i materiali sì. Io comprendo l’immagine del Cristo, un altro di Buddha. Ma tutti capiamo il calore, la sabbia, le pietre. Una cultura fattuale primaria che è patrimonio e linguaggio comune. Su questo c’è ovunque un’attenzione rinnovata e quindi un futuro globale».