Scritto da Anna Maria Merlo – il manifesto
RASSEGNE Al Pompidou Metz, l’anno cruciale METZ.
Il 1917 è «l’anno impossibile» che, pur essendo il meno cruento della Grande guerra (150mila morti, mentre dal 1914 al ’18 ci sono stati circa 9 milioni di morti e 20 milioni di feriti), vede irrompere la morte nella rappresentazione del conflitto e gli artisti non esitano più a mostrare l’orrore. È l’anno in cui arrivano sulla scena bellica i blindati sui campi di battaglia, quello dell’entrata in guerra degli Stati uniti e della rivoluzione in Russia. Il 1917 è anche l’anno della scomparsa dello scultore Rodin e dell’effervescenza creativa, sia nelle retroguardie, come a Parigi, che nei paesi neutri: ad Amsterdam il 16 giugno viene fondato il gruppo De Stijl, a gennaio a Zurigo c’era stata la prima mostra Dada. Grandi artisti si ispirano agli avvenimenti in corso, il vecchio Monet accetta l’idea di dipingere la cattedrale di Reims bombardata, opera che non realizzerà mai, mentre al fronte gli eserciti inviano dei pittori e fotografi per registrare i fatti e riportare immagini del conflitto.
A questo anno di guerra, il Pompidou-Metz dedica la rassegna 1917 (fino al 24 settembre) in cui sono coinvolti tutti i campi di intervento artistico. L’opera più eccezionale esposta è Parade di Picasso, il sipario realizzato per un balletto, con testo di Cocteau e musica di Satie, rappresentato al Téâtre du Châtelet a Parigi il 18 maggio 1917 di fronte a un pubblico più che perplesso e anche offeso. Si tratta del più grande Picasso esistente, 170 mq di stoffa (10,5m x 16,4), 45 kg di peso, che appartiene alla collezione del Pompidou ma che è stato esposto solo una decina di volte e da vent’anni era nei depositi.
La mostra abbina opere di grandi artisti – Duchamp, Giacometti, Brancusi, Klee, Dix, Matisse, de Chirico – ai lavori di dilettanti, che in quell’anno avevano sentito il bisogno di reagire alla tragedia in corso con il ricorso all’arte. Sono quindi presenti esempi della cosiddetta «arte delle trincee», opere realizzate su tutti i fronti a partire da residui di obici e di armi.
L’esposizione si divide in due parti: la prima è dedicata alla nozione di distanza, fisica o simbolica, dagli avvenimenti, con temi dominanti come la morte o il fuoco, i rifugi, le evasioni mistiche, l’oggetto e le sue trasformazioni. Per la prima volta, sono esposte assieme Fontaine di Duchamp (il famoso orinatoio), Princesse X di Brancusi (un fallo in bronzo, all’epoca giudicato osceno) e God di Elsa von Freytag. La seconda parte della mostra, allestita in forma di spirale, si concentra sulle problematiche della distruzione e ricostruzione, sui corpi e i volti deturpati, sui paesaggi e le architetture distrutte. È esposto un insieme eccezionale di autoritratti: Chagall, Gonzalez, Monet, Nolde, Orpen, Hans Richter. E una intera sezione è dedicata all’estetica delle rovine e del frammento.
In questa «spirale» – motivo ricorrente nel 1917, che simboleggia sia i disastri fisici che i tormenti interiori – dominano la morte e i tentativi di proteggersi da essa. La maschera di Arlecchino compare a varie riprese, fino al tendone di Parade. «Per vincere la guerra tutti i soldati avrebbero dovuto vestirsi da Arlecchino», aveva detto Picasso. Accanto, sono esposti i volti modellati in cera e gesso dei soldati terribilmente mutilati dalle esplosioni, con le fotografie delle prime protesi e i tentativi di ricostruzione (provenienti da musei militari). Una mano di Rodin è esposta accanto alle modellature di quelle di due soldati mutilati. L’ultima tranche della rassegna guarda al futuro. In particolare, alcuni esempi di astrazione russa aprono la prospettiva verso tempi di grande creazione.